Contenzioso

Va restituito l'indennizzo in eccesso

di Maria Rosa Gheido

In caso di riforma della sentenza, l'Inail ha diritto alla restituzione della maggior rendita corrisposta all'assicurato in base al precedente giudizio. Lo ha sancito la Corte di cassazione con sentenza 19496 pubblicata lo scorso 16 settembre, fornendo un interessante confronto fra le disposizioni che limitano la ripetibilità di prestazioni previdenziali indebite, poste dalla normativa in materia , e i pagamenti effettuati dagli istituti assicurativi in esecuzione di sentenze non passate in giudicato e riformate in sede di impugnazione.

Il caso
L'Inail aveva riconosciuto al lavoratore una rendita per postumi da infortunio sul lavoro nella misura del 52 per cento, successivamente elevata al 60 per cento a seguito del riconoscimento da parte del tribunale di un maggior danno. La sentenza di primo grado veniva, però, parzialmente riformata in secondo grado con minor aggravamento dei postumi, accertati nella minor misura del 57 per cento.

L'istituto, avendo dato esecuzione alla prima sentenza, agiva pertanto per il recupero delle somme corrisposte in eccedenza rispetto a quelle dovute, operando la trattenuta di un quinto sul rateo mensile della rendita. Avverso il recupero l'assicurato proponeva ricorso in Cassazione ritenendo che l'operazione di recupero del credito da parte dell'Inail non fosse valida.

Il giudicato
La Corte di cassazione, con la sentenza 19496 rigetta il ricorso e sancisce che il diritto dell'Inail alla restituzione delle somme, corrisposte in eccedenza rispetto a quelle dovute al titolare di rendita per postumi da infortunio sul lavoro, sorge direttamente dalla riforma della sentenza che elimina, con efficacia retroattiva, l'obbligazione di pagamento e impone la restaurazione della situazione patrimoniale anteriore.

Le motivazioni
La ripetizione di somme erogate dall'Inail in esecuzione di una sentenza successivamente riformata non si inquadra nell'ipotesi dell'indebito oggettivo di cui all'articolo 2033 del codice civile, né è disciplinata dalla normativa speciale prevista per gli indebiti previdenziali, bensì si fonda sul disposto dell'articolo 336, secondo comma, del codice di procedura civile e sull'assoggettamento del percettore al rischio dell'attuazione della tutela giurisdizionale invocata. Secondo la norma citata, infatti, la riforma o la cassazione di una sentenza estende i suoi effetti ai provvedimenti e agli atti dipendenti dalla sentenza riformata o cassata.

Né, tanto meno, si applicano i limiti posti dal comma 5 dell'articolo 55 della legge 88/1989 alla ripetibilità di prestazioni previdenziali indebite. In quest'ultimo caso, infatti, è previsto che qualora siano state riscosse prestazioni risultanti non dovute, non si dà luogo a recupero delle somme corrisposte, salvo che l'indebita percezione sia dovuta a dolo dell'interessato. È questa una tipologia che si fonda sulla rilevazione di eventuali errori commessi dall'istituto assicuratore e ha il dichiarato intento di dare certezza alle prestazioni, in assenza di dolo da parte dell'assicurato.

Nel caso in esame, invece, il recupero delle maggiori somme erogate deriva direttamente dalla riforma della sentenza di primo grado e la Cassazione ha ritenuto corretta la decisione della Corte di merito che ha ricondotto il recupero all'istituto della compensazione impropria, in quanto i rispettivi crediti delle parti traggono origine dal medesimo rapporto e si è in presenza di un mero accertamento contabile, mentre l'istituto della compensazione presuppone l'autonomia dei rapporti cui si riferiscono i contrapposti crediti.

La sentenza 19496 della Cassazione

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