Contenzioso

Thyssen, è omicidio colposo. La Cassazione definisce le griglie del dolo eventuale

di Giovanni Negri

Se non ci fu dolo ci fu almeno «colpa cosciente». E non è una conclusione leggera o, peggio, indulgente, quella cui sono arrivate le Sezioni unite penali della Cassazione nella sentenza che affronta le responsabilità dei manager del gruppo ThyssenKrupp nei fatti del 6 dicembre 2007, in cui persero la vita 7 operai investiti da una nuvola incandescente. Le conclusioni delle Sezioni unite (sentenza n. 38343), anticipate dall'informazione provvisoria dello scorso 24 aprile, si dipanano per 214 pagine destinate a fare da punto di riferimento nei procedimenti non solo per violazione delle norme sulla sicurezza del lavoro, ma anche in materia ambientale, di infortuni stradali, colpa professionale, criminalità economica. Per effetto della pronuncia i giudici della Corte d'assise di appello dovranno rideterminare le pene, comunque non aumentandole come esclude il giudizio di ieri, a carico dei 6 manager che in primo grado si erano visti sanzionare per omicidio volontario – con un verdetto che fece molto discutere – e poi, in appello, per omicidio colposo. Una conclusione quest'ultima oggi avallata dalle Sezioni unite.

Il nodo da sciogliere era quello del confine tra dolo eventuale e colpa cosciente. Questione «matura» ma complicata perché la definizione è assai scivolosa pur tenendo conto che si tratta di una condotta in cui l'agente si raffigura la gravità delle conseguenze ma decide di procedere comunque. La sentenza osserva che «ciò che è di decisivo rilievo è che nella scelta d'azione sia ravvisabile una consapevole presa di posizione di adesione all'evento, che consenta di scorgervi un atteggiamento ragionevolmente assimilabile alla volontà, sebbene da essa distinto: una volontà indiretta o per analogia, si potrebbe dire. In questo risiede propriamente la rimproverabilità, la colpevolezza dell'atteggiamento interno che si denomina dolo eventuale».

Un'indicazione di principio che però le stesse Sezioni unite ritengono non del tutto soddisfacente, nella consapevolezza che «le formule della teoria vengono distorte più o meno consapevolmente nella prassi». Come provare allora il dolo eventuale? La pronuncia si sofferma su un pacchetto di indizi rilevanti. A orientare può essere allora la lontananza da condotte standard. Quanto più grave ed estrema la colpa, tanto più si apre la strada alla prospettiva del dolo. Significativo il contesto della circolazione stradale. Qui entra in gioco di norma la colpa cosciente con l'eccezione di pochi casi estremi nei quali il conducente ha dimostrato una determinazione assoluta, la volontà di correre rischi altissimi senza mettere in atto alcuna precauzione: ha cioè accettato l'eventualità della verificazione dell'evento.

Rilevanti possono poi essere la personalità, la storia e le precedenti esperienze. Due esempi: il caso della donna che aveva trasmesso il virus Hiv al partner dopo che un evento analogo aveva colpito il precedente compagno. Oppure, ma in senso contrario, l'esempio del lanciatore di coltelli che, forte di un'abilità attestata da mille prove, non mette conto di colpire il bersaglio umano. Insomma, «la personalità, esaminata in concreto e senza categorizzazioni moralistiche, può mostrare le caratteristiche dell'agente, la sua cultura, l'intelligenza, la conoscenza del contesto nel quale sono maturati i fatti e, quindi, la consapevolezza degli esiti collaterali possibili».

Ed è questo il punto sul quale la sentenza di primo grado, più pesante con i vertici della holding, è censurabile. Thyssenkrupp, infatti, dopo un disastroso incendio del 2006 in Germania, «aveva avviato una decisa campagna di lotta senza quartiere al fuoco». L'amministratore delegato Harald Espenhahn non deve, allora, essere condannato per omicidio volontario con dolo eventuale, ma per omicidio colposo. «Espenhahn – osservano le Sezioni unite – era un importante dirigente, al quale era stato affidato un ruolo di grande rilievo: nulla induce a ritenere che egli abbia scientemente disatteso tale forte indicazione di politica aziendale».

Spazio poi alla durata e ripetizione della condotta. Un comportamento impulsivo si avvicina più alla figura della colpa cosciente, con un'insufficiente o assente riflessione sulle conseguenze; una condotta protratta nel tempo, testimonia di una maggiore ponderatezza e configurare il dolo eventuale. A pesare possono essere ancora, in sintesi, la condotta successiva al fatto, il fine della stessa, la probabilità di verificazione dell'evento affidata ancora più alla valutazione "caso per caso" del giudice, le conseguenze negative anche per l'agente, il contesto lecito o illecito.

Cassazione, sezione unite penali - Sentenza n.38343, 18 settembre 2014

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