Contenzioso

Risarcito il disabile in attesa di assunzione: il danno per le mensilità maturate fino all'ingresso in azienda

di Giuseppe Bulgarini e Marco Sartori

Se il disabile avviato al lavoro non viene assunto dall'impresa destinataria compete al lavoratore un indennizzo risarcitorio che copra il periodo non lavorato ricompreso tra la data del provvedimento di avvio obbligatorio e la data di effettivo inserimento presso l'impresa. In questi termini si è espressa la Cassazione con pronuncia del 17 settembre 2014, n. 19609, all'esito di una vicenda processuale nel cui ambito una società, non avendo assunto una lavoratrice disabile (pur regolarmente destinataria di provvedimento di avvio obbligatorio al lavoro), era stata condannata al risarcimento del danno commisurato alle omesse retribuzioni relative al periodo in cui si era protratta l'inadempienza.

Nel condividere le conclusioni del giudice di Appello, la Cassazione richiama un proprio precedente - peraltro, relativo alla prima fase della medesima vicenda processuale, approdata per due volte in sede di legittimità all'esito di pronunzia di rinvio conclusivo della prima fase medesima - per cui dal provvedimento amministrativo di avviamento al lavoro discende, da un lato, il diritto del lavoratore al posto di lavoro e, dall'altro lato, l'obbligo del datore di lavoro di assumerlo. In caso di inadempimento datoriale il lavoratore non può invocare una pronunzia di tipo costitutivo volta alla instaurazione "in via coatta" del rapporto di lavoro, la cui stipulazione presuppone l'incontro della concorde volontà di ambedue le parti, non surrogabile ex post da un intervento del giudice. La sentenza 19609, a questo riguardo, fa riferimento al principio, già espresso da altre pronunce di legittimità, per cui solo il datore di lavoro e il lavoratore hanno titolo di specificare il contenuto del regolamento contrattuale. Pertanto, in caso di inerzia datoriale al provvedimento di avviamento obbligatorio al lavoro, l'autorità giudiziaria, ricorrendone i presupposti, può tutt'al più emanare una sentenza di condanna al risarcimento del danno, quantificato sulle retribuzioni perdute. L'ammontare del danno potrà essere ridotto di un importo pari alle somme che il lavoratore, nel periodo di estromissione, abbia percepito per lo svolgimento di altre attività lavorative (aliunde perceptum) o che egli avrebbe potuto percepire dedicandosi con diligenza alla ricerca di una nuova occupazione (aliunde percipiendum). Il vantaggio della riduzione, peraltro, opera solo in presenza di prova da parte del datore di lavoro; invece, nel caso nostro, in applicazione dei predetti principi, la società non solo ha subito una condanna risarcitoria, ma si è vista altresì rigettata l'eccezione di aliunde perceptum, ritenuta formulata tardivamente, in violazione delle preclusioni che caratterizzano il rito del lavoro.

Cassazione, sezione lavoro, sentenza 19609 del 17 settembre 2014

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