Contenzioso

Licenziamenti collettivi, consultazione sindacale anche dei dirigenti

di Aldo Calza

Con sentenza n. 426 del 2014, la Corte di Appello di Milano ha dato la prima (per quanto noto) interpretazione dei principi sanciti dalla Corte di Giustizia Europea in merito alla applicabilità anche ai dirigenti delle previsioni di cui alla legge n. 223/1991 in materia di licenziamento collettivo.

La suddetta legge n. 223 si applica alle aziende con più di 15 dipendenti che intendano licenziarne almeno 5 nell'arco di 120 giorni e prevede una consultazione sindacale preventiva e la applicazione di criteri di selezione del personale che limitano il potere del datore di lavoro di scegliere i dipendenti da licenziare.
La legge non si applica, da sempre, ai dirigenti, in ragione della natura fiduciaria del loro rapporto di lavoro che rende inopportuno limitare il potere del datore di lavoro di risolverne il rapporto in caso di riorganizzazione che comporti la soppressione della posizione di lavoro.

Con sentenza del 13.2.2014 la Corte di Giustizia Europea, decidendo la controversia C-596/2012, ha dichiarato la illegittimità della legge n. 223/1991, in quanto sarebbe in contrasto con la Direttiva 98/59/CE laddove esclude la categoria dei dirigenti dalla platea dei beneficiari delle tutele in materia di licenziamento collettivo.
Il primo dubbio suscitato dalla sentenza del Corte di Giustizia riguarda la efficacia di tale pronunzia rispetto alla legislazione italiana, in attesa naturalmente di un intervento chiarificatore da parte del legislatore italiano.

Il secondo dubbio, assai più delicato, riguarda gli effetti della applicazione del principio affermato dalla Corte di Giustizia rispetto all'obbligo di rispettare la procedura prevista dalla L. 223/1991 anche per i dirigenti e rispetto alle conseguenze derivanti dall'illegittimità del licenziamento collettivo del dirigente. Infatti, la legge 223/1991 prevede, in caso di illiceità del licenziamento collettivo, l'applicazione delle tutele previste dall'art. 18 della legge n. 300/1970 , compresa la reintegrazione nei limitati casi rimasti post riforma Fornero.

Nella sentenza qui commentata la Corte di Appello, dopo essersi "chiesta" se e in quali termini la pronunzia della Corte di Giustizia possa ritenersi per lei "vincolante", ha scelto una strada diversa e si è concentrata sul fatto che il dirigente aveva chiesto, in giudizio, unicamente la reintegrazione ex art. 18 S.L. Sul punto, la Corte ha, invero un po' sbrigativamente, statuito che la pronunzia della Corte di Giustizia riguarderebbe unicamente la applicabilità ai dirigenti della procedura di licenziamento collettivo (consultazione sindacale, criteri di scelta, ecc.) e non invece la estensione ai dirigenti dell'apparato sanzionatorio previsto, in caso di licenziamento illegittimo, per i non dirigenti. Ciò senza troppo addentrarsi sul fatto che la legge n. 223/1991 richiama espressamente le previsioni dell'art. 18 S.L.

Posto che, come detto, il dirigente aveva limitato le proprie domande all'art. 18 S.L., la Corte ha avuto gioco facile nel rigettare il ricorso, non ritenendo - come detto - applicabili le previsioni dell'art. 18 S.L. al rapporto di lavoro dirigenziale.

Dalla sentenza in esame si possono dunque trarre due prime indicazioni operative.
Meglio includere i dirigenti nelle procedure di consultazione sindacale prevista dalla legge n. 223/1991: dunque anche i sindacati dei dirigenti dovranno partecipare alle procedure e anche per i dirigenti si applicheranno i criteri di scelta sopra citati.

Quanto agli effetti della illiceità del licenziamento, occorrerà attendere che intervengano sentenze più puntuali sul tema.

Per ora, si può solo evidenziare che si rischia di veder sorgere una figura ibrida di dirigente-impiegato, con tutti i benefici economici del dirigente in costanza di rapporto e tutti i benefici normativi dei non dirigenti in caso di licenziamento (almeno quello collettivo).

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