Contenzioso

Obblighi contributivi, transazione della controversia tra datore e lavoratore

di Slvano Imbriaci

In tema di obbligo contributivo previdenziale, la transazione intervenuta tra lavoratore e datore di lavoro è estranea al rapporto tra quest'ultimo e l'INPS, avente ad oggetto il credito contributivo derivante dalla legge in relazione all'esistenza di un rapporto di lavoro subordinato (fattispecie ex art. 12, l. 30 aprile 1969, n. 153) . La Corte di Cassazione è tornata di recente sulla questione dell'inclusione nella retribuzione imponibile a fini contributivi delle somme corrisposte in sede di transazione intervenuta tra lavoratore e datore di lavoro per dirimere una controversia relativa al rapporto di lavoro (Cassazione, sez. lavoro, 14 marzo 2014, n. 6037). L'ambito normativo di riferimento è costituito dall'art. 12 della legge n. 153/1969, che nella sua prima formulazione includeva nella retribuzione imponibile a fini contributivi tutto ciò che il lavoratore riceve in dipendenza del rapporto di lavoro (c.d. omnicompensività della retribuzione imponibile). La norma è stata successivamente riscritta dall'art. 6 6 del d.lgs. n. 314/1997, che considera utili a fini contributivi, in accordo con la nozione di reddito di lavoro dipendente a fini fiscali, le somme e i valori in genere, a qualunque titolo percepiti nel periodo d'imposta, anche sotto forma di erogazioni liberali, in relazione al rapporto di lavoro (e non più solo in dipendenza). La decisione della Cassazione, resa con riferimento alla "vecchia versione " dell'art. 12 si segnala in quanto riepiloga gli argomenti a favore della insensibilità dell'obbligazione contributiva rispetto alle sorti del rapporto di lavoro concordate tra le parti (come accade in occasione di una transazione). Fino ad oggi la giurisprudenza è stata orientata nel senso di presumere un collegamento tra le somme corriposte in seguito a transazione tra datore di lavoro e lavoratore e l'originario rapporto di lavoro, con l'esclusione delle ipotesi (tutto sommato di difficile dimostrazione) di erogazioni affettuate in base ad un titolo autonomo e diverso rispetto al rapporto di lavoro stesso. Su questa linea la sentenza n. 6037/2014 ricostruisce l'obbligazione contributiva nei termini di un'obbligazione legale, sottratta alla disponibilità delle parti (art. 2115 c.c.), con la conseguente irrilevanza della formale definizione o destinazione delle somme che le parti dichiarano dovute in sede di transazione. Allo stesso modo non basta (anche sotto l'egida della vecchia formulazione dell'art. 12) la dimostrazione della mera assenza di corrispettività della dazione rispetto all'attività lavorativa svolta. Occorre dunque qualcosa in più, la prova di una effettiva ragione altra, sganciata dal rapporto di lavoro, che abbia determinato l'estinzione in via transattiva della controversia. Non sono sufficienti dunque sia la volontà delle parti di voler escludere il nesso tra rapporto di lavoro e transazione, sia la formale qualificazione delle somme versate quale incentivo all'esodo (sottratte per legge alla imponibilità contributiva), operazione peraltro di dubbia solidità logica prima che giuridica, essendo, nel caso all'esame della Cassazione, il rapporto di lavoro cessato ben prima della transazione. Naturalmente, una volta stabilita l'assoggettabilità delle somme di cui all'accordo transattivo alla contribuzione, l'assoluta autonomia che si impone tra il rapporto di lavoro e il rapporto contributivo non impedisce all'ente previdenziale di determinare in via autonoma l'effettiva quantificazione dell'importo della contribuzione da corrispondere. La transazione si rappresenta, infatti, alla stregua di un contratto dispositivo di obblighi reciproci che non può avere alcuna rilevanza nei confronti di un terzo soggetto (l'ente previdenziale) che determina l'obbligazione contributiva del datore di lavoro alla stregua dei parametri normativi inderogabili, e non di quanto disposto tra le parti. Dunque, l'ammontare dell'imponibile contributivo può non essere coincidente con le somme riconosciute in sede di transazione, semplicemente per il fatto che la retribuzione imponibile deve essere riferita alla retribuzione di legge cui il lavoratore avrebbe avuto diritto il lavoratore se non fosse intervenuto l'accordo transattivo (con riferimento necessario alla categoria e qualifica professionale posseduta dall'interessato durante il periodo contributivo oggetto dell'atto transattivo e alla dinamica contrattuale della stessa categoria e qualifica). Così, anche la stessa transazione può essere ignorata, in quanto nulla a fronte di concessioni reciproche in violazione dell'importo effettivamente spettante (ciò accade spesso in sede giudiziaria). Ben potrà essere verificata, allora, la tenuta dell'originaria richiesta retributiva del lavoratore ai fini di una completa regolarizzazione contributiva che non si limiti a recepire semplicemente il contenuto dell'accordo che il più delle volte si raggiunge su importi inferiori rispetto alle originarie richieste (vi sono pur sempre reciproche concessioni). L'Istituto potrà quindi azionare il credito contributivo provando, con qualsiasi mezzo e anche in via presuntiva, dallo stesso contratto di transazione e dal contesto dei fatti in cui è inserito, quali siano effettivamente le somme assoggettabili a contribuzione (cfr. Cass. n. 17945/2009). In altre parole, l'obbligo contributivo del datore di lavoro sussiste indipendentemente dal fatto che siano stati in tutto o in parte soddisfatti gli obblighi retributivi nei confronti del prestatore d'opera o che egli abbia rinunciato ai suoi diritti (cfr. Cass. n. 24832/2011 e n. 6901/2009).

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