Contenzioso

Prescrizione, decadenza e riliquidazione di prestazioni previdenziali: intervento della Consulta

di Alessandro Brignone

Le norme che hanno esteso i termini di decadenza triennale e di prescrizione quinquennale all'esercizio dell'azione volta all'adempimento di prestazioni riconosciute solo in parte o a ottenere il pagamento di accessori del credito previdenziale, non hanno efficacia retroattiva.
La Corte costituzionale, con la sentenza n. 69/2014, è così intervenuta a risolvere un dubbio spesso ricorrente nella recente giurisprudenza di merito e di legittimità, dichiarando il contrasto con la Carta fondamentale dell'art. 38, comma 4, del Decreto Legge 6 luglio 2011, n. 98 (Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria), convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge 15 luglio 2011, n. 111, nella parte in cui, esso stabilisce che i termini decadenziali e prescrizionali sopra indicati "si applicano anche ai giudizi pendenti in primo grado alla data di entrata in vigore" del decreto medesimo.
Nel caso di specie, il dubbio di legittimità costituzionale è insorto nel corso di un procedimento instauratosi presso la corte territoriale di prima istanza di Roma, a seguito della richiesta giudiziale avanzata da un pensionato nei confronti dell'INPS per l'adeguamento della sua prestazione previdenziale.
La pronuncia della Consulta, assai apprezzabile per la chiarezza espositiva e per la condivisibilità, non solo sul piano logico-giuridico, delle argomentazioni – richiamata l'ordinanza di rimessione e le censure in essa formulate alla norma oggetto del dubbio di compatibilità costituzionale – ricostruisce, in sintesi ed efficacemente, il quadro normativo di riferimento.
Si rammenta, così, come l'art. 38, comma 1, lett. d), n. 1), del D.L. citato, stabilisca, nella sostanza, che il termine triennale di decadenza stabilito dall'art. 47, commi 2 e 3, del D.P.R. n. 639/1970, si debba applicare anche "alle azioni giudiziarie aventi ad oggetto l'adempimento di prestazioni riconosciute solo in parte o il pagamento di accessori del credito". Parimenti, l'art. 47-bis, di tale ultimo provvedimento normativo stabilisce che "si prescrivono in cinque anni i ratei arretrati, ancorché non liquidati e dovuti a seguito di pronunzia giudiziale dichiarativa del relativo diritto, dei trattamenti pensionistici, nonché delle prestazioni della gestione di cui all'articolo 24 della legge 9 marzo 1989, n. 88, o delle relative differenze dovute a seguito di riliquidazioni".
Al quadro così ricostruito, però – che la Corte afferma essere pienamente rispondente ai vincoli costituzionali di riferimento – il legislatore del 2011 ha aggiunto, (con il citato comma 4 dell'art. 38 del D.L. n. 98/2011) la norma retroattiva censurata, secondo cui – conviene rammentarlo – i nuovi termini decadenziali e prescrizionali debbano applicarsi anche ai "giudizi pendenti in primo grado" alla data della sua entrata in vigore.
Nel respingere le argomentazioni dell'INPS e dell'Avvocatura di Stato, rispettivamente costituitosi e intervenuta in giudizio, la Corte sottolinea come non sia in dubbio la legittimità del fine dell'intervento normativo censurato, ossia quello di "produrre risparmi nel settore previdenziale riducendo i tempi di esercizio del diritto degli assicurati alle prestazioni pensionistiche", rientrando l'intervento normativo attuato in tale direzione "nella discrezionalità del legislatore", bensì unicamente il fatto che i termini, di decadenza e prescrizione, stabiliti nella più volte richiamata lettera d) del comma 1 dell'art. 38, siano resi retroattivamente applicabili anche ai giudizi pendenti in primo grado.
La Corte ritiene il ricorso fondato. Essa ricorda la propria stessa consolidata giurisprudenza secondo cui l'efficacia retroattiva della legge trova un limite invalicabile nel "principio dell'affidamento dei consociati nella certezza dell'ordinamento giuridico", il mancato rispetto del quale si risolve in un vizio di ragionevolezza che, di conseguenza, travolge la legittimità della norma retroattiva. Il principio dell'affidamento, conclude la Corte richiamando anche in questo caso propri recenti precedenti, trova applicazione anche in materia processuale, risultando disatteso quando la norma retroattiva adottata dal legislatore contrasti con quella affermatasi nella prassi. Con specifico riferimento, infine, all'istituto della decadenza, la Corte sottolinea quanto estranea sia ad esso, "per sua natura", ogni applicazione retroattiva, "non potendo logicamente configurarsi una ipotesi di estinzione del diritto per mancato esercizio da parte del titolare in assenza di una previa determinazione del termine entro il quale il diritto debba essere esercitato" (principio già stabilito da Corte cost. n. 191/2005).
Poiché la norma censurata prevede, invece, che il diritto ad accessori o ratei arretrati di prestazioni pensionistiche già riconosciute – "diritto il cui titolare confidava, sulla base della pregressa consolidata giurisprudenza, essere unicamente soggetto alla prescrizione decennale" – si estingua, in assenza di una già ottenuta decisione di primo grado, ove la domanda – di accessori o di ratei arretrati – non risulti, rispettivamente, proposta nel più ridotto termine triennale di decadenza od in quello quinquennale di prescrizione, essa è viziata da illegittimità costituzionale, in ragione del "vulnus arrecato al principio dell'affidamento".

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