Agevolazioni

Rimpatrio dei ricercatori, l’agevolazione è riservata all’attività propria

di Matteo Ferraris

L'agevolazione per il rientro dei docenti o dei ricercatori è riservata all'attività "propria". L'agevolazione non si applica alle attività assistenziali rese da un medico-docente universitario. È quanto emerge dalla risoluzione dell'agenzia delle Entrate del 29 novembre 2017, n. 146/E nella quale un'Università intendeva ricondurre all'attività di docenza-ricerca (agevolata) i redditi prodotti da un medico-docente universitario nello svolgimento dell'attività assistenziale prestata, anche in regime libero professionale, nel quadro della convenzione tra la stessa università e l'azienda ospedaliero-universitaria.


L'incentivo per il rientro in Italia di ricercatori e docenti

L'agevolazione è riservata ai docenti e ai ricercatori che decidono di svolgere in Italia la propria attività (di docenza e ricerca) ed è permanente, come chiarito, infatti, dalla circolare 17/E del 23 maggio 2017, parte II, capitolo 1; la stessa nota evidenzia che per quanto riguarda i profili applicativi sono validi i chiarimenti forniti per analoga materia con circolare 4/E del 15 febbraio 2011 e circolare 22/E dell'8 giugno 2004, integrati dalle nuove indicazioni che tengono conto del complessivo quadro delle misure agevolative vigenti.

Il periodo di fruizione è limitato a quattro periodi di imposta (articolo 44, comma 3, del Dl 78 del 2010) dalla data di trasferimento della residenza. L'agevolazione prevede una detassazione del 90% (e una tassazione del reddito limitato al 10%) del reddito di lavoro dipendente o autonomo percepito.

L'agevolazione richiede il rispetto dei seguenti requisiti:

• essere in possesso di un titolo di studio universitario o equiparato;

• essere stati non occasionalmente residenti all'estero; la circolare 17/E pur non specificando la durata della permanenza all'estero indica che si tratti di una permanenza stabile e non occasionale; posto l'attività di ricerca o docenza deve essersi protratta all'estero per almeno due anni consecutivi, tale periodo è considerato l'arco di tempo minimo necessario a integrare il presupposto della non occasionale residenza all'estero. Il periodo di due anni, in considerazione della genericità della norma, deve essere calcolato sulla base del calendario comune e non sulla base dei periodi di residenza fiscale. Per l'attività di docenza, invece, può essere calcolato sulla base della durata degli anni accademici;

• svolgere l'attività di docenza e ricerca in Italia (anche presso pubbliche amministrazioni);

• trasferire la residenza fiscale in Italia.

• aver svolto all'estero documentata attività di ricerca o docenza per almeno due anni continuativi, presso centri di ricerca pubblici o privati o università; si tratta dell'attività di ricerca individuata nella attività destinata alla ricerca di base, alla ricerca industriale, di sviluppo sperimentale e a studi di fattibilità, svolta presso un organismo di ricerca.

Relativamente a quest'ultimo punto si rendono necessarie alcune precisazioni:

- l'effettivo svolgimento dell'attività di ricerca o di docenza all'estero deve risultare da idonea documentazione rilasciata dagli stessi centri di ricerca o dalle Università presso i quali l'attività è stata svolta. Tale documentazione deve attestare sia la natura dell'ente, sia l'attività svolta dal docente o dal ricercatore e la relativa durata. La documentazione, rilasciata in lingua straniera deve essere tradotta in italiano; tale traduzione può essere fatta dallo stesso contribuente, se i documenti sono redatti in lingua inglese, francese, tedesca o spagnola, mentre se i documenti sono redatti in altre lingue è necessaria una traduzione giurata, ovvero la vidimazione da parte dell'autorità consolare;
- l'attività di docenza è individuata nella attività di insegnamento svolta presso istituzioni universitarie, pubbliche e private;
- l'attività di docenza e ricerca non necessariamente deve essere stata svolta nei due anni immediatamente precedenti il rientro, essendo sufficiente che l'interessato, prima di rientrare in Italia, abbia svolto tali qualificate attività all'estero per un periodo minimo ed ininterrotto di almeno ventiquattro mesi. Per la docenza il periodo di ventiquattro mesi si ritiene compiuto se l'attività è stata svolta per due anni accademici continuativi. Può, ad esempio, fruire del regime agevolato un docente che, rientrato in Italia nel 2015, abbia svolto attività di docenza negli anni 2011 e 2012 e successivamente abbia svolto un'altra attività di lavoro dipendente.

I chiarimenti dell'agenzia delle Entrate
Nelle aziende ospedaliero-universitarie, l'università individua il docente o ricercatore in materie cliniche con il quale stipulano un contratto per lo svolgimento delle prestazioni di cui necessitano.

Nel caso analizzato, lo svolgimento dell'incarico prevedeva una responsabilità con «messa a punto dei percorsi assistenziali» in aggiunta a ulteriori incombenze, valutate, nel merito, come attività distinte, ancorché integrate e inscindibili, da parte dell'agenzia delle Entrate.
Per tale ragione, la risoluzione nega l'estensione dell'agevolazione alle attività assistenziali.

Ciò non di meno, la stessa agenzia delle Entrate evidenzia come il soggetto possa optare per un diverso regime – quello degli impatriati – previsto dall'articolo 16 del Dlgs 147/2015 (circolare 17/E, parte II, paragrafo 1.3). In tal caso l'agevolazione si applicherebbe a tutti i redditi percepiti dal soggetto.

La durata dell'agevolazione indicata è prevista per cinque periodi d'imposta, con inizio da quello in cui il soggetto trasferisce la residenza fiscale in Italia, che deve essere mantenuta per un minimo di due anni, pena la decadenza dal beneficio sin dall'inizio con applicazione di sanzioni e interessi (articolo 3, del Dm 26 maggio 2016).

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©